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Australia. Ballando con le balene


Inserito il: 27/10/2007 da Claudio Montalti
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Sito web: http://www.claudiomontalti.net
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Uno dei tanti ostelli in cui pernottai sulla costa orientale fu causa della mia scelta. "Sail the Whitsundays" diceva a larghe lettere un manifesto attaccato al muro della spartana agenzia viaggi interna, quasi sempre presente, con tanto di foto di un datato e candido ketch di legno che veleggiava al largo di una spiaggia tropicale.

Mi è subito sembrata una buona idea, e così una mattina di umido agosto sono salpato per 10 giorni di sole, mare e vela attorno alle Whitsunday Islands, Queensland. La temperatura era perfetta, e il ketch di 28 piedi navigava pigro regalando una brezza gradevole. Peter ci ha insegnato subito a portare la barca. Era compreso nel prezzo, ma insomma... Dopo una naturale apprensione, io e i compagni abbiamo scoperto che era, in realtà, piuttosto semplice. Non dico che sarebbe stato capace anche un bambino, ma la realtà non ci va molto lontano quando si tratta di reggere un timone. Non avendo nulla da fare - ma era solo una impressione, perché in relatà lo skipper fa mille cose cntemporaneamente anche se sembra non fare mai nulla - Peter si è messo a leggerci brani da un libro titolato "100 Magic Miles", considerato dai più la bibbia ufficiale per chi desidera navigare l'arcipelago più famoso d'Australia. Naturalmente, la scelta delle rotte era questione in cui mettersi democraticamente d'accordo, momento dopo momento, per tutti i 10 giorni. La prima notte abbiamo ormeggiato in rada al Shute Harbour. Cena con vino rosso, una bistecca alta così e un sottofondo di musica e di stelle.

Emozionante è stata l'attesa per il Dangerous Passage. Non traduco... Il nome era piaciuto più o meno a tutti. La sicurezza con cui Peter manovrava da solo il ketch era comunque rilassante, e con calma ci dava le varie istruzioni su come cazzare o lascare, stringendo o allentando le vele nel vento. Sospstto fortemente che noi gli abbiamo complicato le cose, che avrebbe fatto molto meglio da sé, comunque lui non ha detto nulla e io mi sono tenuto la cosa per me. Per non confonderci, ogni cima aveva un preciso colore che, onestamente urtava il mio gusto estetico per come alterava il candore altrimenti immacolato di vele e fasciame. Devo dire però che il lato pratico ne ha guadagnato. Con una certa facilità si erano stabiliti gli automatismi mentre ci avvicinavamo al Passaggio che ci avrebbe portato direttamente all'interno delle isole, in un largo specchi di mare sempre calmo perchè, appunto, protetto da ogni lato, il famoso Whitsunday Passage.

Veleggiavamo in quel momento a meno di 10 nodi. Per quanto la velocità fosse bassa, ovvero poco più di 20 Km/h, ovvero poco più del passo di un uomo, vi assicuro che tra il vento che ululava nelle orecchie e le onde che all'approssimarsi del promontorio si facevano sempre piuù alte e ruggenti, avevo sempre più l'impressione di potere essere da un momento all'altro inghiottito dal mare. In una ora abbondante di boline più o meno strette abbiamo infine avuto ragione del passaggio e la conseguente calma di mare e di vento ci ha accolto come una calda coperta. Per un paio d'ore, tutte al lasco, tutto quel che ho dovuto fare è stato dare un'aggiustatina alle scotte di tanto in tanto. Ogni scusa era però buona per passare da una corda all'altra per il solo gusto di muovermi, di udire più da vicino il fruscio, ora più leggero, del vento sulle vele. Pensavo a qual invenzione sia stata la vela, migliaia d'anni fa. Poi mi sono stufato e mi sono seduto vicino a un compagno che si era portato dietro una lenza. Per fortuna che la cambusa è ben fornita perché non aveva tirato su nulla.

La seconda notte avevamo deciso di passarla in rada a Nara Inlet, ma non avevamo ancora gettato l'ancora che Peter ha fatto dietro front. Chi più e chi meno, lo fisavamo come uno schizzato quando ci siamo accorti cosa gli aveva fatto cambiare idea. In distanza, due balene nuotavano pigramente senza quasi increspare la superficie del mare sempre più liscia sul fare della sera. Dimenticavo: le balene giungono in questo riparato braccio di mare del Whitsunday Passage direttamente dall'Antartide, solo per partorire e svezzare i piccoli. Saranno a 120 metri di distanza e i due grandi mammiferi marini erano così tranquilli che nonostante la lentezza del ketch non è stato difficile arrivare loro più da presso.     continua "Australia. Ballando con le balene"

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